venerdì 26 gennaio 2018

José Mourinho, Árpád Weisz, Auschwitz e l'aria che tira


José Mourinho, allenatore del Manchester United, è stato ucciso oggi nel campo di concentramento in cui era prigioniero da circa un anno e mezzo. Due anni fa la stessa sorte era toccata alla moglie, Matilde Faria, e ai tre figli della coppia.

Non è vero, naturalmente.

Ma 74 anni fa, questa cosa che tutti noi oggi riterremmo impossibile - e cioè che un personaggio pubblico osannato, uno sportivo pluridecorato potesse essere arrestato, deportato e ucciso, dopo lo sterminio della sua famiglia - toccò in sorte ad Auschwitz ad Árpád Weisz, celebratissimo allenatore ungherese di origine ebraica, che aveva portato allo scudetto prima l'Ambrosiana (l'Inter) e poi, per due volte, il Bologna.

L'impossibile, insomma, è stato possibile.

E a niente era servita la fama, se a qualcuno potesse venire in mente che in qualche modo avrebbe potuto fare da scudo rispetto alla sorte toccata a milioni di altre vittime "anonime".
Nè a lui nè a tantissimi altri personaggi famosi.
Già, perché in quell'epoca era scontato che fosse così. Sei ebreo, tanto basta per aprirti le porte del lager. Ma anche zingari, omosessuali, intellettuali, qualunque cosa si frapponesse tra il delirio e il sogno della razza pura.

L'aria che tira, oggi, è quella paludata e silenziosa dello sdoganamento della peggior destra, quella che ciancia all'aria di "razza bianca" da proteggere, di rigurgiti neonazisti incubati nei social e legittimati nelle comparsate nelle strade e nei programmi tv, di Forza Nuova che raccoglie firme nelle piazze dedicate ai martiri della Resistenza, di braccia tese per esultare dopo il gol, di partiti dichiaratamente neonazisti e neofascisti avallati dal voto, di irruzioni squadriste, di liste di giornalisti ritenuti scomodi e da mettere (per ora) alla gogna.

E di un becero pot-pourri in cui - anche di fronte alla crisi di rappresentanza dei partiti - si mescolano rivendicazioni di mondi puri, di muri, di movimenti che alzano la testa sentendosi forti e pronti ad individuare un nemico, preferibilmente gli immigrati, ma con un ventaglio talmente ampio da poterci inserire chiunque (gay, la sinistra, le banche, i politici, i vicini di casa rumorosi, i tifosi della squadra avversaria, gli hipster, i vegani, le cavallette!) seguendo l'imperante logica degli haters che trasforma gli avversari in nemici da annientare. Un esercito di avversari su cui riversare le colpe, tutte, di una crisi economica che morde.

Un piano inclinato in cui scivolano lentamente, ma inesorabilmente, parole d'ordine che poco alla volta si accasano all'interno della routine del dibattito politico, che si irrobustiscono di giorno in giorno, in un contesto di sciatta ignoranza e di infida indifferenza, che non fa che confermare quel che George Santayana disse a proposito di Auschwitz: "Chi non sa ricordare il passato è condannato a ripeterlo".

Per chi voglia rinfrescare la memoria, suggerisco una visita al Museo Ebraico di Bologna, dove - fino al 18 marzo - si può visitare la mostra "Arpad WEISZ dal successo alla tragedia".

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