venerdì 27 gennaio 2017

Zerocalcare, raccontacela tu la Shoah


Non è proprio un appello nel Giorno della Memoria, ma credo che se Zerocalcare raccontasse la Shoah, la memoria - quella Memoria - almeno qui in Italia, non andrebbe perduta.
Lo hanno già fatto Art Spiegelman con Maus, la celeberrima e cupa graphic novel del 1989 in cui racconta la tragedia dell'Olocausto. E, da poco, anche Michel Kichka, con "La seconda generazione", dedicata ai figli dei sopravvissuti ai campi di sterminio. Per citare i più noti.

E' una forma, quella della graphic novel, che compete ad armi pari con la bibliografia tradizionale, vincendo a man bassa se guardiamo alla capacità divulgativa senza rinunciare al rispetto assoluto dell'autenticità storica. E che, soprattutto, ha infinite possibilità di trovare spazio negli smartphone dei nostri figli, prima ancora che nelle nostre librerie.

Su questo fronte, per citare altre esperienze, penso a Persepolis, la graphic novel di Marjane Satrapi, che ci ha portati nel cuore della quotidianità dell'Iran travolto dalla rivoluzione islamica con una delicatezza e una lucidità disarmanti. O allo straniamento - si fa per dire - scorrendo le pagine apocalittiche di "Fuga dal campo 14", in cui si narra la vicenda reale di Shin Dong-hyuk, l'unico uomo nato in un campo di prigionia della Corea del Nord che è riuscito a scappare all'età di 23 anni.

Zerocalcare, che sul piano della narrazione è un fenomeno che tiene insieme il registro dell'ironia con la solidità della narrazione storica, si è già misurato con la questione curda con Kobane Calling e, giusto un mese fa, con Groviglio, ulteriori 12 pagine sulla stessa questione, ospitate su Repubblica. 
Si ride, ma soprattutto ci si informa, si capisce. In altre parole, si fa memoria. 
Il talento di Zerocalcare, per un obiettivo narrativo come quello della Shoah, sarebbe perfetto. Perfetto.

E non è vero che non ci si può scherzare. Non penso a Moni Ovadia o alla lunga tradizione dell'umorismo ebraico, o a Woody Allen, solo per nominare i più noti. Penso a Benigni. Ce lo ha fatto vedere lui, con La vita è bella, che sulla tragedia dei campi di sterminio si poteva fare memoria collettiva utilizzando - per la prima volta con eco mondiale - il tono dell'ironia.
Certo, ci aiutava una certa nostra opinione sui tedeschi dell'epoca. 
Tanto che - questo stesso fronte - già Totò, nei "I due Colonnelli", aveva rispedito al mittente l'intollerabile teutonica precisione nel rispettare gli ordini del maggiore Kruger e la sua "Ma io ho la carta bianca!", con l'indimenticabile "E ci si pulisca il culo".  
Che non era una graphic novel, ma andava benissimo lo stesso.

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