domenica 22 novembre 2015

Il dolore. L'odio. L'indignazione. L'indifferenza. Lo tsunami del web sul corpo di Enrico Liverani.


Prendete il dolore, mescolatelo con l'odio, aggiungete l'indignazione, ricoprite il tutto con l'indifferenza.
Questa volta l'onda mefitica dei social travolge la memoria del povero Enrico Liverani, il 39enne candidato del Pd a sindaco di Ravenna, morto in un incidente d'auto
Il micidiale meccanismo dei social, malsano, fetido, si innesca quando tra i tantissimi post di cordoglio appare anche quello di Matteo Renzi, che fa letteralmente da detonatore al livore, al disprezzo di migliaia di persone. In altre parole, all'odio, che travolge ogni cosa, principalmente Renzi (a cui, nella migliore delle ipotesi viene augurata la stessa fine di Liverani), oltre che lo stesso Liverani, liquidato come uno dei tanti parassiti della politica.
L'indignazione contro tanto odio prende corpo rapidamente, alza la polvere nella bacheca di Renzi in difesa della memoria di Liverani, facendo scudo al pudore del momento, prova a mettere al riparo dagli schizzi velenosi  il dolore.
Eppure, da domani subentrerà l'indifferenza, tutto questo delirio d'odio sarà meno di un ricordo nelle menti di chi vi ha partecipato, perché l'onda anomala del veleno digitale nel frattempo si sarà spostata mille volte verso mille altri obiettivi, travolgendo tutte le volte con la stessa furia momenti che avrebbero avuto bisogno di silenzi, di tempi diversi, di parole vere, di relazioni.
E sul campo rimarrà lo strazio di parenti e amici, di chi si è visto rubare il momento del dolore, servito in pasto al web. 
Il web non può sostituire le relazioni umane, una lezione che impareremo quando sarà troppo tardi.
A meno che - e credo sia la sfida di questi tempi - non ricollochiamo il mondo digitale in un ruolo di mero strumento, che gli è proprio, restituendo alle persone la centralità dei rapporti. Tutto il resto è sbagliato.

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