domenica 25 ottobre 2015

I'm so in love with you

This time we go sublime 
Lovers entwine-divine divine 
Love is danger, love is pleasure 
Love is pure-the only treasure 
I'm so in love with you 


venerdì 23 ottobre 2015

"Ho tanta voglia di farmi una canna come quando ero giovane"

"Ho tanta voglia di farmi una canna come quando ero giovane, vedo i gruppi di quando ero giovane, che mi facevano compagnia a fumare, che bei tempi, che risate, che belle donne".
Oggi mi arriva questo messaggio. Me lo scrive il mio amico d'infanzia malato di sclerosi multipla, di cui ho già parlato qui. Come molti tra voi sanno, lui sta scrivendo un libro sulla sua esperienza, che oggi lo costringe a una vita molto complicata su una carrozzina. E oggi, ecco la meraviglia di questo messaggio. Senza filtri, letteralmente.
Eccolo qui, per intero:

"Mentre sto scrivendo questo libro, vorrei raccontarvi in diretta cosa sta accadendo. Da poco ho saputo che hanno legalizzato la Cannabis e so che chi ne fa uso trova giovamento. Consapevole degli effetti straordinari a detta di molti su patologie simili alla mia, non vedo l’ora di provarla. Cerco quindi di contattare il centro che mi ha in cura, ma dopo 15 giorni ancora non si fanno trovare. Dopo un mese, ancora niente. Che fare? Finalmente, dopo qualche tempo, faccio finalmente la visita dal neurologo, che demanda però la ricetta alla fisiatra la quale, a sua volta, prende tempo e, anzi, mi rimprovera perché l'ho chiamata al telefono. Dopo di che, ecco che inizia il tira e molla, perché si inventano il fatto che sia necessaria una liberatoria per prescrivermi il farmaco. 
Allora io mi rompo i coglioni e vado dai Carabinieri.
Parlo col Maresciallo comandante della stazione, che riesce a calmarmi e mi convince ad aspettare e ad avere pazienza. Dice che prima o dopo mi prescriveranno il farmaco.
Meno male che lui ha pazienza, perché io ne avrei meno e gli dico che secondo me negarmi la cannabis terapeutica è un'istigazione a delinquere, perché avrei comprato la Cannabis in ogni caso, anche se non in farmacia, ma nel mercato libero. Insomma, dagli spacciatori. 
Alla fine riesco a farmela prescrivere e provo a farmi una tisana, dato che la cannabis terapeutica si assume in questo modo. Gli effetti, però, non sono quelli che mi aspetto. La dose è così ridotta che non sento grandi benefici. 
Forse che la tisana è troppo debole per me, o che la dose che mi hanno scritto è minima, o forse hanno paura, oppure questa è la prassi. Ne ho parlato con una dottoressa, una ex anestesista. Lei mi dice di aspettare almeno tre giorni senza prendere i farmaci che prendo di solito, in modo da eliminare dall'organismo possibili interazioni con la cannabis. Infatti, almeno uno dei farmaci che assumo è antagonista alla Cannabis.
Finalmente dopo tre giorni posso provare la tisana. Ma le attese sono superiori agli effetti.
Ho tanta voglia di farmi una canna come quando ero giovane, vedo i gruppi di quando ero giovane, che mi facevano compagnia a fumare, che bei tempi, che risate, che belle donne.

mercoledì 14 ottobre 2015

Il bivio


Lui lo chiama "Il bivio". 
Pochi anni fa, consapevole che la sclerosi multipla lo stava rapidamente portando alla paralisi totale, si era reso conto che, se avesse voluto togliersi la vita, lo avrebbe dovuto fare subito, perché - una volta paralizzato - sarebbe stato impossibile. Insieme alla compagna, a quel bivio, ha però scelto la vita. E lo racconterà in un libro autobiografico a cui sta lavorando in queste settimane.
Mi ha chiesto una mano per scrivere il libro, eravamo a scuola insieme. Stessa età, stesse passioni, stessi amici. E io cerco di dedicare il mio tempo libero alla lettura e all'editing dei capitoli, sperando di essere all'altezza. Si, perché quando ti trovi la sera, dopo cena, a leggere le bozze del libro e ti ritrovi di fronte a riflessioni del genere, lo senti che bisogna essere davvero grandi, grandissimi, per fare le scelte nella vita. Sarà un grande libro, perché lui è una persona unica.

lunedì 12 ottobre 2015

Il sorriso della barista stanca

Vabbè, l'unico normale in questa foto è quello al centro, quel ragazzo alle nostre spalle che in una spiaggia del Madagascar tira un calcio al pallone.
Che poi dovreste vederlo quel pallone. Una specie di ammasso di stracci compattato in qualche modo. Ma basta voler giocare, il resto è bellezza pura.
Anzi, normalità. Quotidianità. Quella normalità che Stefano Totaro - il ceffo angelico sulla destra nella foto - ha raccolto in una cinquantina di scatti fotografici e proposti in "Afreeca - Una casa libera", in mostra fino al 25 ottobre a Castelfranco Emilia a Palazzo Piella in corso Martiri 204, con incasso che andrà in beneficenza a Alfeo Corassori La Vita Per Te ONG e Amici di Padre Pini Onlus.
Un racconto dell'Africa - e non solo - attraverso lo sguardo di Totaro ("Tost" per gli amici), uno sguardo totalmente libero, anarchico direi. Nessun manierismo. Solo il suo sguardo tradotto dall'obiettivo, che narra i tanti viaggi in questi ultimi vent'anni in quel continente attraverso il filtro delle persone, donne e uomini colti nella normalità delle loro vite. Mica facile, farlo bene.
Racconti veri e propri, più che foto. E una, in particolare, mi ha colpito, quella della "barista stanca".
Avete presente lo sguardo delle donne alla sera? Quello sguardo che racconta una giornata iniziata all'alba, dopo che hanno sistemato le prime cose in casa, che si sono occupate dei figli, che hanno lavorato tutto il giorno e poi, la sera, hanno pensato di nuovo a tutta la famiglia e all'universo di cose da fare, da sistemare, a cui pensare. E che a un certo punto si prendono quella pausa di trenta secondi per se stesse, spesso momenti sospesi in un pensiero che le porta chissà dove, uno sguardo carico di bellezza? Ecco, quello sguardo. Andate a vederlo. E perdetevi in quello sguardo.

sabato 10 ottobre 2015

Taxi writer
















Non fatevi ingannare dalla foto. Filippo Messori, l'urlatore al centro della foto che imbraccia il basso pronto a sparare decibel sul pubblico e che sta per mangiarsi il microfono, non è un musicista. E non fatevi ingannare neanche quando lo vedete in giro per le strade di Modena alla guida del suo taxi con il gomito a bordo portiera. Lui non è un taxista.
Filippo Messori è uno scrittore. 
Si, certo, suona, guida il taxi, è sposato, gli auguriamo i figli presto, insomma tutto vero. 
Ma è innanzitutto uno scrittore vero. E non so se lui lo sappia.
I suoi flash di vita, narrati attraverso la lente del taxi - che tutti possiamo leggere sul suo profilo Fb -sono tra le cose migliori che leggo.
Rapide, lucide, ironiche, quasi sempre sconvenienti e politically uncorrect. Niente filtri. Ah, aria pura.
L'ultima, di pochi giorni fa, è quasi perfetta.
Eccola.
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Storie in Differita: Dopo una nottata di delirium tremens arriva un velo di stanchezza, ma c'è da fare in stazione, perché quelle cazzo di fan di Ligabue non finiscono, vorresti lo facessero, ma sembra l'Operazione Urano: niente tattica, niente strategia, solo numeri freddi e spietati.
Corri come un maiale verso la stazione ove già pregusti il carico di una manciata scarsa di cicciotte sudaticce e sgolate, dagli accenti variegati, da portare in hotel punitivi in periferia.
E invece no.
Alle 5 e un quarto ti arriva la chiamata che non ti aspetti: il visore cita asettico "voce femminile - Limidi di Soliera - per Mandrio".
.....per Mandrio?!?!?! 
Accetti, ma ti fai delle domande. Poi arriva un secondo messaggio sul visore, che ti rasserena: "per Prato 08, contatta la cliente, non credo si renda conto".
Ecco.
Prendo il cel, già sicuro di farla desistere, per potermi di nuovo occupare delle mie chiattone, ma risponde una voce gentile, dall'italiano corretto, garbatissima, e decisa nonostante l'attesa ed il preventivo appositamente alto a portare a termine la transazione.
Parto.
Arrivo in un quartiere residenziale recente in quello che è un paesotto senza tempo sperduto nella bruma notturna, e mi fermo all'indirizzo. Orario preciso.
Esce la cliente.
Una ragazza nel fiore dei vent'anni, di media altezza, ben vestita. Un capello alle spalle leggermente mosso, scuro, due occhi grandi e castani dolci come la voce al telefono, un viso gentilissimo con una voglia a forma di messico sulla guancia (citazione criminale ma nel momento mi ero lasciato naufragare nel melodrammatico). Si avvicina sorridente, io sorrido, quella notoriamente è l'ora dei rottami, mentre qua siamo su un red carpet. Sorride. 
Sorride, e si sposta di lato.
Scoprendo il fidanzato.
Fisico discreto, capello corto ai lati e lungo sopra raccolto in una cipolla, un pizzetto castano un po' da bohemienne; camicia bianca violentemente in difetto sui pettorali, che scopre un petto tatuato e rasato, e braccia altrettanto pittate, tutto corredato di braccialetti e ninnoli. Un pantalone con risvoltino aberrante, color rosso spento ed a coste, disperatamente lontano dai mocassini d'ordinanza.
Insomma, l'incrocio tra il melancolico Johnny Depp di Chocolat ed il mio coglione sinistro.
Clamorosamente ubriaco.
La dolce ragazza lo butta in macchina, mi sussurra l'indirizzo e fa ciao ciao con la manina farfallina. Lui rantola un rutto ed prova a chiedere se può aprire il finestrino. È una bomba ad orologeria, fa anche gli scatti alcolici. Ansima, sbuffa, si contorce a rallenty. Glie lo apro, mette fuori la testa, e livi la terrà per tutto il viaggio, e partiamo. 
Rimpiango la ragazza.
Lui si avvinghia alla portiera, la strada è piena di buche, irregolarità, dossi, e curve. Od ogni cambio di peso arriva un messaggio sonoro, da captare ed interpretare.
Buca: blaurgh.
Dosso: sgnarlfghnnnnhnh.
Svolta a sinistra: puff!!! buff!!! nick nick!!!
Un corollario di onomatopee che per me significavano tutte la medesima cosa: coglione.
Seicentottanta volte coglione.
Dopo lunghissimi chilometri di nulla, ecco Mandrio.
Se volete avere idea di come si presenti Mandrio nella notte buia di un primo autunno, pensate ad campo profughi sudanese ma con una quantità di umido superiore del 694%, immerso nella padania ridens.
Arrivo alla via subito, grazie al Garmin.
Mi fermo. 
Dorme.
Proprio come un coglione.
Gli metto una mano sul ginocchio coperto dalle braghe rosse, il suo calore alcolico mi fa salire la melancolia di Chocolat.
Quanto sei bello.
Quanto sei bohemienne.
Ritorno in me.
Gli do' una pacca, poi un altro paio. Rinviene.
"Ehi oltretomba, siamo arrivati. È qui?"
"Aaaahahhhmmmmm..... ssssa sis si...... sihm, sihm, hraphie.... vrendo i sholdi e via.... gu.... gu... guanto?!?!..."
"Sono tot, come d'accordo con la ragazza."
Strabuzza gli occhi pensando sia al salasso che al due di picche acidissimo che ha rimediato.
Prende il borsellino, cercando di dissimulare la sbornia appoggiandosi al pannello della porta, con gli occhi fessurati ed un pelo di bava alla bocca.
".....aaaaaaah.... eeeeeeeeh, speriamo di averli..."
Un rumore meccanico squarciò improvvisamente il silenzio di quella tarda notte, o prima mattina, secco, in un certo senso definitivo.
Il mio dito premeva leggero il tasto della chiusura centralizzata.
Eravamo chiusi dentro.
Io ed Oltretomba.
Speriamo davvero che li trovi quei soldi, Chocolat.
Quanto sei bello.
Quanto sei bohemienne.
Proprio come Johnny Depp in Chocolat.
O come il mio coglione sinistro.

venerdì 2 ottobre 2015

Il senso della vita (nella giornata dei nonni)


"A quella inaspettata aggressione ella tentava di gridare ma subito lo Stoppa le poneva una mano alla gola stringendogliela quasi a soffocarla e poscia sollevatela la sottana le introduceva il suo membro nella vulva sfogando la sua libidine"
Mio nonno, Bruno, è stato concepito così. Da uno stupro. In un giorno imprecisato di maggio, nel 1909, alle sei del mattino.
Nel giorno della festa dei nonni, ricorrenza di cui - confesso - non conoscevo l'esistenza - ho ripescato tra i documenti che conservo gelosamente gli atti del processo a carico di tale "Stoppa Eugenio fu Francesco", condannato a due anni e sei mesi per violenza ai danni di Santina Selvatico, la mia bisnonna, che la mattina - andando a lavorare nei campi di questo Stoppa per la zappatura del riso - dal suo padrone fu presa, legata "con cavezza da cavallo" fino a quando non fu soddisfatto.
Come dicono gli atti, "fu tale e tanta la vergogna e la paura che ne ebbe, specialmente di venire rimproverata e battuta dal padre, che tacque a tutti l'accaduto".
Qualche mese più tardi, quando lo stato di gravidanza fu evidente, ne parlò tra le lacrime in famiglia, e, di lì, con grande coraggio la famiglia - con il padre in prima fila a fare la battaglia per la propria figlia -  denunciò lo Stoppa, che fu processato e condannato.
Da una brutalità così abissale - che a Stoppa costò 2 anni e 6 mesi di carcere, confermati in appello - nacque il nonno. Sua mamma, la mia bisnonna, morì invece di parto.
Il nonno ha avuto la sua vita, si è sposato. Sono arrivati i figli. Poi i nipoti, tra cui io.
Ed è il classico caso in cui le categorie usuali con cui si legge il mondo, non bastano a spiegare le cose. Neanche nel caso in cui la divisione manichea tra il male e il bene è così palese.
Perché io, di essere venuto al mondo, sono felicissimo. E forse - forse - la felicità di chi è arrivato dopo, è la consolazione postuma per Santina, che quella mattina sull'argine del fiume se ne andava, giovane, spensierata e con tutta la vita davanti, a lavorare nei campi di riso.