mercoledì 6 maggio 2015

Il terremoto del '76 non era un treno

Quando si è sentito il terremoto erano passate le nove di sera da pochi minuti. Io e il papà eravamo da soli in casa, nel salotto. Io ero seduto e sfogliavo un fumetto. Il papà era in piedi e quasi certamente stava guardando la copertina di un disco di jazz o di musica classica, o comunque di un genere di musica da grandi. 

La mamma, i miei due fratelli e anche tutti i miei amici di via Ferraris, a Vittorio Veneto, erano rimasti fuori, giù in strada, perché tutti i giovedì di maggio alle otto e mezzo di sera in via Ferraris si recitava il rosario. I grandi partecipavano al rosario con grande impegno, o almeno a me pareva così. Noi piccoli, invece, recitavamo ave, paternoster e tutti i santi quasi in apnea, tirandoci le caccole e scoreggiando in silenzio per scommessa, e aspettavamo la benedizione finale per poter rimanere in strada a giocare almeno un’altra ora. 

Quella sera, però, dopo il rosario ero tornato subito a casa e davvero non ce n’era motivo, anche perché tutti erano rimasti giù in strada a giocare. Adesso non ricordo perché anche il papà fosse tornato a casa con me, ma immagino che la motivazione ufficiale data ai grandi - che invece lo avrebbero voluto lì per quattro chiacchiere - fosse di non lasciarmi solo a casa. Però io avevo undici anni e a casa da solo ci ero stato almeno centoventinove volte. 

Il papà è sempre stato piuttosto popolare e ricercato tra i grandi e anche tra i miei amici, però lui ha sempre vissuto le relazioni sociali come un’orticaria e penso che questa fosse la vera motivazione per accompagnarmi a casa
Insomma, eravamo noi due nel salotto quando alle nove e pochi minuti nella stanza si è sentito un rumore di sottofondo, basso, che poco alla volta riempiva la stanza. Ho alzato gli occhi verso il papà, che aveva ancora il disco tra le mani e anche lui si era fermato, come ad ascoltare. 

Non so il papà, ma quando a me sembrava di aver capito che rumore fosse – la caldaia, il disco che cominciava a girare sul piatto, un’auto in lontananza – quel rumore continuava a cambiare e si ingrossava e allora pensavo al muggito di una mucca molto mooolto grande e sempre più vicina e poi improvvisamente non era neanche più quello, era un treno, però un treno che stava per entrare in casa perché il volume era sempre più alto e invece non era neanche un treno, ma forse era qualcuno che aveva lasciato accesa la tivù a volume centomila al piano di sotto e stava per scoppiare, o l’ululato di una mandria, o forse era un aereo, ecco era un aereo, sicuramente un aereo che però stava per entrare dalla finestra perché ormai era un rumore che precipitava da tutte le direzioni e bisognava parlare a voce altissima per sentirsi l’uno con l’altro: “Papà, cos’è??? Papà cos’è”??? E il papà era rimasto in silenzio come una belva della foresta in ascolto di un pericolo, fino a quando aveva messo a fuoco: “Il terremoto, via, via!!”.

Improvviso come il boato che lo aveva preceduto, il terremoto a quel punto era arrivato davvero e mentre scendevamo le scale a rotta di collo a balzi di sette scalini alla volta, i muri avevano cominciato a spostarsi a destra e a sinistra e noi eravamo sparati come proiettili in quella specie di imbuto in discesa pieno di gradini che si muovevano da una parte all’altra. 

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