giovedì 21 maggio 2015

I sessantottardi dell'Aula C, parodia della rivoluzione

Non credo che Ivo Germano se lo ricordi, ma io me lo ricordo bene. Un giorno, poco prima di Natale del 1989, Ivo era entrato nell'Aula C della Facoltà di scienze Politiche. Io ero dentro l'aula, insieme a un sacco di gente che studiava lì, come me e come lui, a Scienze Politiche.

Qualcuno di noi stava suonando la chitarra - la canzone era "Disperato erotico stomp" di Lucio Dalla - e cantavamo a squarciagola "non so se hai presente una puttana, ottimista e di siniiiiiiiiiistraaaaa".
Ivo, divertito dalla situazione, aveva chiesto: "Cos'è questo clima sessantottardo?".

Aveva detto proprio così: sessantottardo.

Mi ricordo che, come capita solo nelle situazioni in cui non abbiamo davvero un cazzo da fare, io gli avevo chiesto: "Perchè sessantottardo? Non si dice sessantottino?"
E lui aveva risposto che sessantottardo era più adatto, perché indicava chiaramente un tentativo maldestro di imitare un clima irripetibile. Sessantottino è un conto. Sessantottardo un'altra cosa.

E aveva ragione. Il 68 era passato da più di vent'anni.

La Pantera, quell'evento che per qualche mese ci aveva avvolti nel rassicurante gioco della rivolta, era pura parodia, era un gioco, era un'occasione identitaria, l'occasione per alcuni di noi di misurarsi con il mondo davvero adulto, con i temi importanti come i diritti.

Era pura recitazione, tra l'altro scadentissima. Una parodia, appunto.
Sessantottardo.

E quel pomeriggio, ben prima dell'occupazione - anche se era già nell'aria - eravamo proprio in quell'Aula C che già da tempo, lì in facoltà, accoglieva i più fancazzisti tra di noi, nel senso che ci si andava a studiare, certo, ma il cazzeggio imperava.

Ed era quella stessa Aula C che sarebbe stata occupata proprio in quel periodo da quei pochi - noi li conoscevamo tutti - che avevano preso l'abbaglio della contestazione dura e pura, intesa come lotta di classe e salvezza del proletariato, parole d'ordine già antiche all'epoca, ma che quei pochi irriducibili (molti di loro simpatici, questo va detto, ma fuori dal mondo) usavano ancora come sostegno teorico per occupare fuori tempo massimo quella che chiamavano un'aula "espressione del potere".

La maggior parte di noi, invece, era tornata sui libri, si era laureata e aveva intrapreso un percorso certo meno rivoluzionario e più impegnativo, tipo: andare a lavorare.

Negli anni successivi o, per meglio dire, nei decenni successivi, mi capitava ogni tanto di leggere qualcosa capitato nell'"Aula C occupata", e tutte le volte - passato lo sbigottimento di immaginare quella situazione, sospesa come una bolla temporale mentre il mondo andava avanti - trovavo conferma nell'epressione di Ivo, quel clima sessantottardo che non tramontava.

Una parodia della rivoluzione, mentre i veri bisogni erano fuori, così come fuori da quelle quattro mura c'erano i veri eroi dell'impegno civile e sociale, il volontariato, l'impegno politico, il mondo che evolve.

E l'imbrattamento delle statue, una volta cacciati dall'aula, non è affatto rivoluzione iconoclasta, è solo patetica vendetta del bambino offeso, che ora si dovrà misurare con il mondo. Ma con quello vero.

Nessun commento:

Posta un commento