venerdì 29 agosto 2014

Il muro silenzioso dove fu assassinato Marco Biagi

Mi capita ogni tanto, camminando nel centro di Bologna, di passare in via Valdonica, dove Marco Biagi è stato assassinato dalle Nuove Brigate Rosse il 19 marzo del 2002.
E' stato ammazzato proprio sotto casa, mentre appoggiava la bicicletta al muro, di fianco al portone di ingresso. Da tempo chiedeva che gli restituissero la scorta, che gli era stata tolta qualche tempo prima. Ma i proiettili sono arrivati prima delle carte bollate.
Su quel muro, non c'è alcun segno che ricordi quel fatto. Non una targa. Non un mazzo di fiori. Niente. Un muro anonimo, così anonimo da essere trattato come gran parte dei muri di Bologna, imbrattato da qualche scarabocchio di serie D. Quel muro vuoto parla molto più di tanti discorsi, la dice lunga su quanto la famiglia di Biagi abbia sentito la lontananza dello Stato, culminata nelle celebri parole che l'ex ministro dell'Interno Claudio Scajola aveva riservato a Biagi dopo la sua morte: "Non contava, era un rompicoglioni che voleva solo il rinnovo della consulenza".
E' vero, pochi metri più in là il piccolo slargo è stato rinominato "piazzetta Marco Biagi", ma a me è sempre sembrata un'algida riappacificazione, quasi forzata, soprattutto se confrontata con altri luoghi di Bologna in cui è invece evidente la partecipazione corale, l'affetto, addirittura l'ossessione della memoria.

In via Mascarella, ad esempio, nel punto in cui è stato ucciso Francesco Lorusso c'è una lapide ancora integra, di fronte alla quale ogni anno (dal 1977) si ricorda l'evento.
E i fori dei proiettili sono stati mantenuti nel muro e protetti da una teca di vetro, che è diventata quasi un altare laico per tutta un'area politica bolognese, al punto che quando due writers - "idioti e ignoranti" per loro stessa ammissione - l'hanno imbrattata, parte della città è insorta e gli imbrattatori si sono scusati pubblicamente, riconoscendo l'errore. Ma tutto il tratto di via Mascarella intorno alla lapide e ai proiettili è testimonianza, anche coloratissima, dell'evento. Una memoria sostanziale, verrebbe da dire, quasi che fermare quei momenti sia l'unica via per non dimenticare.
E alla stazione è la stessa cosa, con una lapide che ricorda uno per uno (compresa l'età) i morti; una parete ricostruita lasciando un'apertura nel muro, mantenendo anche quella porzione di pavimento in cui fu posizionata la bomba, circondata da una transenna che la protegga e che ne mantenga integra la potenza evocativa. E l'orologio esterno, fermo alle 10.25, è ancora lì, simbolo della strage, tolto solo una volta - per sbaglio - da un operaio nel corso di lavori di ristrutturazione, poi prontamente risistemato al suo posto.

Al confronto, pare quasi che il muro silenzioso di via Valdonica, in un certo senso, sia la risposta alle istituzioni, che hanno dovuto "ripiegare" sulla piazzetta lì di fianco.
E quel muro, silenzioso, parla molto più di tante targhe commemorative.









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